Possibili riflessioni
Rita Bartolini
11 febbraio 2020
L’incontro tra due istituzioni storiche e strutturate come sono la famiglia e la scuola consente di portare a riflessione quegli aspetti che consento ad entrambe di generare e consolidare il dialogo, avendo entrambe un comune compito che è quello di accompagnare bambini e ragazzi nelle loro fasi di crescita più importanti: l’infanzia e la preadolescenza. Qui, una volta per sempre, si strutturano i comportamenti ai quali l’età adulta farà appello per affrontare il mondo sia in termini di proposte che di sfide consentendo ad ognuno di loro di entrare nella storia del mondo per viverla e per cambiarla in meglio.
Credo allora che la riflessione debba muovere e muoversi su un territorio comune in grado di generare dialogo perché contiene piste di percorribilità comune e non conflittuali. Ho così preso spunto dai famosi Diritti dei bambini e su questi mi permetto di proporre una lettura che disveli e metta a luce ciò che, dietro ad ognuno di loro, è richiesto all’adulto nei suoi ruoli di insegnante, genitore, adulto. Ne analizziamo uno per volta senza fare differenze tra insegnante o genitori, lascio ad ognuno la propria riflessione intima e personale.
Il diritto di essere un bambino. Parto da un’affermazione che conosciamo, ma che mantiene il suo senso specifico: un bambino non è un piccolo uomo, un bambino è una persona. Questo ci fa meditare sul fatto che ha bisogni specifici davvero differenti dai bisogni dell’adulto. Ad esempio ha bisogno di richieste chiare e precise, ha bisogno di modelli di riferimento raggiungibili e credibili, ha bisogno di adulti con stabilità emotiva, ha bisogno di spazi e tempi proporzionali ai suoi ritmi. Ha bisogno che non vengano cambiate “le carte in tavola”. Ha bisogno di incontrare il suo confine e il confine dell’altro comprendendo dove arriva il suo e dove arriva quello dell’altro. Ha bisogno di incontrare sentimenti positivi ed equilibrati. Ha bisogno di incontrare adulti aperti e collaboranti, ha bisogno di potersi fidare.
Il diritto di crescere in libertà. Libero perché mi è data l’opportunità di esperire il mio confine e il confine dell’altro. Libero perché riesco con successo a portare a termine i miei doveri conoscendo e applicando le regole di ogni processo. Libero perché so aspettare, darmi un turno, riconosco quando posso entrare in scena e quando non è opportuno. Libero perché ho imparato e so mettere in pratica. Libero di dimostrare che sono capace, che sono autonomo.
Il diritto di essere rispettato. Significa che chiunque altro attorno a me mi conosce, mi ri-conosce, sa chi sono perché gli ho dato occasione di mettere a disposizione le mie risorse, le mie capacità di dare aiuto e riceverne, di mettere a disposizione ciò che possiedo per condividerlo, mettere a disposizione i miei pensieri e i miei punti di vista per arricchire la cultura del gruppo, della classe. Così il mio sentirmi rispettato genera e mi educa al rispettare l’altro che è la mia risorsa, la mia occasione. Sono rispettato in quanto unico e diverso.
Il diritto alla salute. Il mio sentirmi bene è l’esito di una cura dedicata al mio corpo, alla sua pulizia, alla sua salvaguardia. Ad un corpo che non è solo ciò che vedo, ma anche ciò che non vedo. Non curo solo l’esterno del corpo, ma anche l’interno: cosa ci faccio entrare, come lo faccio entrare. Ma la mia salute dipende anche dal grande corpo rappresentato dal mondo che mi circonda: tengo pulito il mio corpo tanto quanto tengo pulito il mondo, stanno insieme. Ho cura della mia persona quanto ho cura della persona del mondo, stanno insieme.
Il diritto a ricevere cure speciali. Non siamo tutti uguali e durante la nostra vita non siamo sempre uguali. La diversità è la nostra ricchezza, è l’occasione esistenziale per intraprendere dialoghi aperti e flessibili. Il mio compagno o amico che parla una lingua diversa dalla mia, che ha un colore di pelle diverso dal mio, che ha un corpo diverso dal mio, che ha bisogni diversi dai miei, è il diverso da me che mi consente di poter dire chi sono io. Senza l’altra diversità la mia identità non ha né origine né sopravvivenza. Il mio stare bene oggi non è la certezza che così starò per sempre: come potrò riconoscermi nella mia identità se non considero che la diversità non è solo ciò che sta fuori, ma anche l’evento esistenziale che dovrò affrontare senza annullare il mio io?
Il diritto di avere una famiglia. Ho consapevolezza che ho una mamma, un papà, dei fratelli, una donna, un uomo, una coppia. Dire che si ha una famiglia significa mettere in conto tanti ruoli simultaneamente, ma identitariamente. La mamma non è me, il papà non è me, i miei fratelli o sorelle non sono me. ognuno di loro mi offre il senso del limite e della diversità, ma, simultaneamente mi offre la possibilità di imparare cosa significa essere e diventare quel ruolo perché sono ben definiti, chiari, non ambigui o confusi. Non sono interscambiabili.
Il diritto ad una buona educazione. Gli adulti scelgono per me ciò che è il mio bene: i miei ritmi giornalieri, il cibo che è bene mangiare, i posti dove posso andare per imparare e stare con gli altri, le regole che mi servono per essere libero nel mondo, i doveri che mi appartengono per dimostrare che sono capace e capace di fare la giusta fatica, i limiti da rispettare sia a casa che fuori.
Il diritto ad essere protetto ed educato. È un diritto ad essere protetto dai miei capricci, dal mio rifiutarmi ad impegnarmi, dal voler dominare sempre su tutti, dal pretendere di avere sempre ragione, dall’esigere di voler sempre essere il primo, dal rifiutarmi di rispettare le regole, gli impegni, dal voler sempre essere sostituito in ciò che è un impegno, una fatica. Un bambino desidera essere protetto da tutto ciò, non può sapere come si fa, per questo ci sono gli adulti che amandolo lo educano a far fronte e ciò che dalla pancia va portato alla testa, dal piacere al dovere. Quel pezzetto di strada che va dalla pancia alla testa è il territorio dell’educazione.
Il diritto a non essere abbandonato o maltrattato. Il diritto a non essere abbandonato nel mondo perché nessuno si è preoccupato di insegnarmi delle regole, il diritto a non essere abbandonato nelle relazioni con gli altri lasciandomi in balia delle mie paure. Il diritto a non vivere in un ambiente in cui tutto è permesso perché nessuno decide e fanno decidere a me: questo è un maltrattamento.
Il diritto a non essere discriminato. Il diritto a stare nel modo corretto con gli altri, tra gli altri, evitando di essere ignorato o scartato perché sono prepotente, perché non sono autonomo, perché mi lamento sempre, perché sono polemico e ho sempre ragione io.
Senza nessuna pretesa esaustiva mi sono permessa di dare una lettura di questi 10 diritti nella direzione che appartiene ovviamente alla nostra situazione contestuale. Certo risulterà chiaro che l’applicazione di un qualsiasi diritto non avviene per gratuità, se così fosse sarebbe solo assistenzialismo. Ogni diritto è generatore e alimentatore di un dovere così come la messa in atto di un dovere è l’esatta lettura del diritto.
A modo di esempio (ma solo di esempio!), potremmo fare questo semplice esercizio che consiste in una lettura trasversale di quanto (purtroppo brevemente), ho cercato di portare a riflessione.
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